Il 3 maggio l’avvocato Carlo Fossati, senior partner dello studio Ichino Brugnatelli e associati partecipa come main speaker
alla 7° edizione dell’HR Forum del gruppo Le Fonti a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana a Milano. L’incontro è centrato sulla necessità di fornire una normativa adeguata al fenomeno dello smart working.
L’avvocato Carlo Fossati interviene nella sessione del talk show dal titolo «Smart Working, un orizzonte in continuo movimento che deve essere normato», con lui a discutere del tema, dott. Massimiliano Santamaria, People Metrix Expert ed Elisabeth Camerini, direttrice Risorse Umane di BayWa r.e. Progetti.
La definizione del lavoro agile o smart working, che ha preso piede durante l’emergenza pandemica ha imposto cambiamenti di organizzazione repentini che non sempre si sono rivelati efficaci nel lungo periodo.
L’avvocato Fossati ha dibattuto il tema con due esperti di gestione delle risorse umane di prestigiose realtà imprenditoriali e ha puntualizzato come dal punto di vista giuslavoristico, in Italia non esista lo smart working.
«Quello che chiamiamo smart working – ha dichiarato l’avvocato Fossati – è in realtà lavoro agile, da remoto, che ha iniziato ad affacciarsi sul panorama dal 2017 (ben prima della pandemia) presentandosi tra l’altro come un’eccezione rispetto alle consuete modalità lavorative.
«Ma il vero smart working non è legato alla dimensione geografica (da dove svolgo la prestazione) -continua l’avvocato Fossati – è in realtà un problema di flessibilità della prestazione, la possibilità di avere un lavoro misurato per obiettivi e non per ore lavorate, svincolandosi dalla rigidità degli orari.
Questo consentirebbe di aumentare il livello di engagement del lavoratore a differenza del remote working che alla fine diventa alienante e non dà i vantaggi di una gestione realmente flessibile del lavoro. Quindi, il problema fondamentale non è da dove lavoro ma se ho la possibilità di lavorare responsabilizzato per obiettivi e svincolato dalle rigidità tipiche del lavoro subordinato, a partire dall’orario.
«Rispetto alla questione – ha aggiunto l’avvocato Fossati – è necessario fare un passo indietro dal punto di vista storico. Il vero problema non è solo la disciplina dello smart working del 2017 (che comunque resta una criticità, ponendo solo un discrimen geografico) ma la disciplina del lavoro subordinato che è soggetto a norme varate nel 1942 che non sono mai cambiate.
È evidente che ci riferiamo a un’ epoca storica lontana anni luce rispetto alla sociologia del lavoro di oggi, è impossibile pensare che quei paradigmi possano ancora andare bene. Quindi, se noi andiamo oggi a riformare la disciplina dello smart working del 2017 senza toccare i paradigmi fondanti del nostro sistema giuslavoristico non andiamo da nessuna parte».